Viterbo – D’agosto moglie mia non ti conosco, proverbio antico con tante spiegazioni o, meglio, giustificazioni, perché si diceva già ai tempi di Esiodo, quasi tremila anni fa, che la canicola estiva fosse di buon risveglio per le donne ma portatrice di fiacchezza agli uomini, che perciò negavano di “conoscere” la propria moglie.
Il tutto circoscritto al mese di agosto, il quale una volta si chiamava Sestile e gli fu cambiato il nome da un velletrano dalle origini paterne piuttosto plebee ed oscure (nonno usuraio) ma, per parte di madre, pronipote di Giulio Cesare. All’anagrafe Caio Ottavio, dello zio prese i geni del potere sia militare che politico e, fatti fuori con le buone e le cattive i concorrenti, il senato gli attribuì il cognome di Augusto, titolo fino allora proibito ai mortali perché segno di divinità.
Aggiungendolo all’assunzione ereditaria del nome dello zio, diventò così Caio Giulio Cesare Ottaviano Augusto e non bastandogli, come l’illustre parente aveva ribattezzato in Julius (luglio) il mese in cui era nato, fece chiamare Agosto i trentuno giorni successivi.
Comunque sia andata, l’antico proverbio gli stava bene, se è vero che, pur divorziato due volte, dicono non tenesse in gran conto le donne, arrivando pure ad esiliare la sua unica figlia.
Dunque, agosto e, naturalmente, Ferragosto, cioè le ferie di Augusto, il riposo dell’imperatore e non solo il suo, tra feste e giochi ancora in auge. Giostre di saracini vari, palii su terra ferma e in acqua, soprattutto corse di quadrupedi come i cavalli che si contendono oggi il drappellone dell’Assunta a Siena o quello di san Bartolomeo a Ronciglione, qui da noi.
Gran mese dell’aria aperta ed anche dei fenomeni atmosferici più strani. Come quella volta che, nell’anno 358 d.C. sull’Esquilino dove ora c’è Santa Maria Maggiore, nevicò il 5 di agosto. A nessuno, allora, vennero in mente cambiamenti climatici o buchi dell’ozono. Molto più semplicemente il papa dell’epoca, Liberio, spiegò che quella nevicata gli era stata preannunciata in sogno con l’indicazione del luogo in cui la neve sarebbe caduta. Lì, infatti, da tempo voleva costruire una chiesa e così ci riuscì.
Neve in agosto e pure temporali improvvisi, a leggere il sonetto del Belli intitolato proprio a La Madonna della Basilica Liberiana: “Che ppriscissione! Io vorzi annacce, ma vennero tre ddiluvi scatenati. Li preti nun pareveno ppiù preti, ma ppanni stesi, purcini abbagnati. Li vedevi cantanno litanie scappà pè li portoni e ll’osterie. Inzomma, ggente mia, inzino la Madonna e ‘r cardinale doverono fa la sparizione”.
Bei tempi!
Renzo Trappolini